
La Montagna dei Fiori è un gruppo montuoso del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, fra le sue pareti il fiume Salinello ha scavato un canyon fra i più notevoli dell’Appennino: è lungo più di 3 chilometri e le sue pareti sono quasi verticali ed in alcuni tratti così vicine da toccarsi quasi. L’ambiente è molto suggestivo e ricco di specie animali rare come l’aquila, il falco pellegrino e il lupo e di una vegetazione che risale al Terziario, prima delle ultime glaciazioni.
L’uomo ha frequentato questa gola fin dalla preistoria lasciando innumerevoli testimonianze delle sue attività e dei suoi culti. I ritrovamenti preistorici si concentrano soprattutto nelle grotte che si aprono nelle sue pareti verticali e che sono da sempre per gli esseri umani oltre che un riparo, un luogo sacro.
In particolare la Grotta di Sant’Angelo, la più grande delle numerose cavità che si aprono nel complesso montuoso, è stata per gli esseri umani un luogo di culto praticamente ininterrottamente dalla preistoria ai giorni nostri.

Le frequentazioni furono più sporadiche nel Paleolitico superiore, divennero maggiori nel Neolitico (4600-4200 a.C.) fino all’Età del Bronzo (II millennio a. C.) quando fu utilizzata come luogo di culto e sepoltura.
La frequentazione riprese nel Medioevo quando monaci eremiti vi si stabilirono e ricavarono celle negli ambienti più piccoli e perfino una cisterna. La sala più ampia della caverna fu adibita a chiesa dedicata al culto di San Michele Arcangelo, aveva due altari, quello superstiteè formato da una pesante lastra di roccia incisa a caratteri gotici, risale probabilmente all’XI secolo.

La grotta è proprietà della chiesa e vi si celebra ancora messa due volte all’anno, il 1° maggio e il 29 settembre per San Michele.
Il culto di San Michele Arcangelo è fortemente radicato nell’Italia centro-meridionale ed è spesso legato a grotte o luoghi impervi e rocciosi. Il santuario a lui dedicato sul Gargano divenne meta di pellegrinaggi provenienti anche da luoghi lontani e viene frequentato anche ai giorni d’oggi.
Il culto si diffuse anche in altre zone dell’Appennino grazie ai pastori transumanti e si sovrappose al preesistente culto di Ercole molto diffuso nella popolazione italica dedita alla pastorizia. Entrambi i protagonisti del culto sono guerrieri, uno armato di spada, l’altro di clava. Caratteristiche queste gradite ai pastori pronti a difendere le greggi dagli attacchi di fiere e predoni. Io ne ho parlato in questo articolo.
Il culto di San Michele si ritrova anche in altre grotte dell’Appennino centrale, sulla Majella, sui Monti Carseolani, a Liscia ed è stato praticato in maniera ininterrotta dal Medioevo.
