Giovedì grasso, cuore del Carnevale, quest’anno la festa sarà in sordina, ciò che non mancherà saranno i fritti tipici di questo periodo fin da tempi remoti.
Frappe si chiamano a Roma e nell’Italia centrale, sfrappole, cenci in Toscana e Romagna, nastrini, galani, fiocchi, fiocchetti. Tutti termini che si riferiscono all’aspetto di questi dolci tipici del Carnevale, simili a larghi nastri. E poi crostoli in Veneto e Friuli, bugie in Liguria e Piemonte, chiacchiere.
Ricetta semplice, fra le prime che imparai da ragazzina e che ogni tanto riproponevo anche fuori del Carnevale.
La ricetta che ho sempre seguito è quella dell’Artusi, il noto autore de “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene”. Io ne ho parlato qui.
- 240 g di farina
- 20 g di zucchero a velo
- 20 g di burro
- 2 uova
- 1 cucchiaio di acquavite
- 1 pizzico di sale
- olio per friggere
Disporre la farina a fontana, rompere all’interno le uova, aggiungere il burro fuso a bagnomaria, l’acquavite, il pizzico di sale, impastare fino a ottenere una pasta soda, lavorarla a lungo, poi lasciarla a riposo avvolta in un panno.
Tirare la sfoglia, Artusi dice “ della grossezza di uno scudo” e io da ragazzina mi domandavo quanto potesse essere, in realtà si può prendere a paragone una moneta, da un euro? Del resto c’è chi le fa più o meno sottili, a seconda dei gusti.
Con la rotellina a smerli si tagliano tante strisce larghe 2-3 dita e lunghe un palmo, si possono poi intrecciare o ripiegare in forme strane a piacere, attività riservata ai miei figli quando erano piccoli.
Si friggono in abbondante olio bollente, quando sono ben colorite e rigonfie si mettono su carta da cucina a scolare un po’ dell’unto. Quando sono fredde si spolverizzano con lo zucchero a velo.
Come dice Artusi: “Basta questa dose per farne un gran piatto”.