Prima del nostro ultimo viaggio in Sardegna ignoravo che ci potesse essere qualche relazione fra l’isola ed il conte Ugolino della Gherardesca, il nobile pisano che nel 1289 fu lasciato morire d’inedia insieme ai suoi figli e nipoti con l’accusa di tradimento e che è noto a tutti per i versi di Dante che, nel XXXIII libro dell’Inferno, lo colloca nel girone dei traditori della patria, insieme al suo acerrimo nemico, che ne decretò la morte, l’arcivescovo Ruggeri degli Ubaldini.
Quello che ho appreso nel nostro gironzolare in Sardegna, fra spiagge, boschi e città, è che la storia di Iglèsias, inizia proprio con l’amministrazione del conte Ugolino, cui era stato assegnato il territorio quando, nel 1257, Pisa si impadronì del giudicato di Cagliari. Ugolino favorì la nascita della città mineraria e la organizzò sul modello di un comune toscano.
Nel comune di Silìqua, a circa 25 chilometri da Iglesias, sorgono le imponenti e suggestive rovine del castello di Acquafredda, fatto costruire dalla famiglia della Gherardesca, dopo il 1267. I resti del castello sorgono su un caratteristico colle di origine vulcanica, che si erge isolato sopra la pianura coltivata.
La visita, a pagamento, è molto interessante. Si raggiunge il castello con un sentiero che si arrampica sui fianchi del colle. Lungo il percorso numerosi pannelli forniscono informazioni sulla storia del castello, sul territorio e sugli alberi ed arbusti della macchia mediterranea che sono stati piantati sulle pendici del colle. In particolare sono diffusi gli alaterni (Rhamnus alaternum), piccoli alberi molto resistenti ai venti ed alla siccità, con belle foglie lucide di un verde intenso e bacche che maturando diventano prima rosse e poi nere.
Si incontrano anche molte euforbie arboree (Euphorbia dendroides) che in estate perdono le foglie per resistere alla siccità e vivono bene in ambienti aridi e rocciosi.
Dalla cima del colle si gode un bel panorama a 360°, che ripaga della fatica della salita.
Il luogo ed il castello sono estremamente evocativi della terribile storia del conte e della sua famiglia, che colpì fortemente l’immaginazione dei contemporanei, fino a diventare immortale attraverso i versi che Dante scrisse solo qualche decina di anni dopo, versi terribili che narrano dello strazio dell’amore paterno impotente a evitare la fine orribile dei suoi figli e nipoti e dell’efferatezza a cui arrivarono le lotte politiche a Pisa. “Tu vuoi ch’io rinovelli disperato dolor che ‘l cor mi preme”, sono versi famosissimi con cui Dante volle celebrare il suo maestro e guida Virgilio, che nell’Eneide, fa iniziare così il racconto di Enea alla regina Didone.