da maglietta ai ferri a rete per la spesa

Questa era una maglietta lavorata ai ferri da mia nonna, non so più per chi e quanti decenni fa. Era bella e particolare con questo punto che credo sia il punto a noccioline ai ferri. Passata di mano in mano senza che nessuno avesse il coraggio di buttarla, alla fine ormai logora e sformata ho deciso di farla rinascere a nuova vita. Se non è più possibile indossarla come maglietta si può però farne una rete per la spesa! Il filo anche se usurato è piuttosto grosso e quindi ancora capace di portare pesi.

Non sono nuova a questi tentativi di riutilizzo: qualche tempo fa ho trasformato in maniera simile un’altra maglietta facendola diventare una borsa per il mare. Ne ho parlato in questo post.

Anche in questo caso ho scucito le spalle e disfatto la maglia partendo dal collo fino all’incavo manica.

Con ferri n. 5 (adatti alla grossezza del filato) ho intrecciato le maglie per circa 7 cm sia all’inizio che alla fine del davanti e per tutto il dietro, poi ho lavorato un rettangolo a maglia legaccio sulla parte centrale del davanti per un’altezza totale di 10 cm. Ho intrecciato e poi ho cucito il rettangolo sui lati e sul lato più lungo al dietro in modo da formare il fondo della borsa.

Ho poi lavorato due manici all’uncinetto facendo una catenella di 52 cm e lavorando poi 5 righe avanti e indietro di maglia bassa con un uncinetto n. 5.

Ora la parte inferiore della maglietta, quella con il bordo a coste è diventata la parte superiore con l’apertura della borsa, quindi qui ho cucito qui i due manici.

Ecco la borsa finita!

quando si tesseva la canapa

La canapa appena raccolta

A Sant’ Anatolia di Narco, in Valnerina si può visitare un interessante e completo Museo della Canapa, fibra tessile ora dimenticata, ma un tempo coltivata dalle famiglie e trattata in casa in tutti i passaggi per renderla adatta alla tessitura. Le famiglie avevano il proprio telaio e le ragazze si tessevano la biancheria per il proprio corredo.

Una paziente e appassionata ricerca ha permesso di recuperare gli antichi telai, gli orditoi e gli altri strumenti per la lavorazione e la tessitura e di esporli in diverse sale di quello che è diventato un museo diffuso e un laboratorio di didattica della tessitura.

La canapa una volta raccolta veniva messa a macerare, poi battuta per liberarla della parte legnosa, quindi veniva il momento della filatura ed infine si tesseva.

I telai erano di legno massiccio e una volta sparita la tradizione della tessitura casalinga molti furono fatti a pezzi per farne legno per il camino. Questo bel telaio fu recuperato e restaurato per farci conoscere un aspetto delle vecchie tradizioni ora dimenticato.

Questo dell’immagine sotto è invece un telaio per fasce da neonato, niente a che vedere con i moderni pannolini usa e getta!

Telaio per fasce da neonato

Nel museo ci sono anche esposte opere d’arte fatte con la canapa e i “lenzuoli sospesi”: grandi lenzuoli che le donne si riuniscono per ricamare insieme. Ognuna ricama il suo nome o un simbolo su un angolo di lenzuolo. Un modo di lavorare in compagnia, chiacchierando e scambiando ricordi. Il lenzuolo una volta finito viene esposto come un’opera d’arte.

batacchi e anelli per gli animali

Bertinoro

Batacchio, picchiotto, battente, battiporta, tanti termini per indicare un oggetto oggi desueto, ma ancora presente sui portoni delle case dei piccoli centri italiani.

Utilizzati fin dall’antica Roma per bussare ai portoni e annunciarsi ai padroni di casa, erano spesso semplici anelli di metallo, ma altre volte rappresentavano figure più o meno complesse, fatte in serie o forgiate da abili artigiani, a volte veri artisti.

Curiosando sui portoni dei nostri borghi si possono trovare pugni, teste egizie, teste di leone e di animali vari, aquile per darsi un tono d’importanza.

Sui muri delle antiche case sono a volte ancora conservati altri oggetti desueti: gli anelli per legare gli animali. Anche questi hanno forme diverse, a volte semplici anelli, a volte ci sono anche raffigurate le teste degli animali, reali o immaginari.

Le vecchie case di campagna si limitavano a incorporare nella muratura una pietra forata cui attaccare l’asino.

Nella bella e ospitale Bertinoro, circondata da vigneti esiste ancora la colonna dell’ospitalità, dove ogni anello era collegato a una famiglia che avrebbe ospitato il viandante che avesse attaccato ad esso il suo cavallo.

coperte fatte a mano

Comincia a far freddo, le coperte fanno piacere, ancora di più se si fanno a mano: a maglia, all’uncinetto o ancora meglio riciclando i ritagli di stoffa come in questa trapunta

IMG_0041

o i vecchi maglioni come in questo plaid.

Per riciclare gli avanzi di lana invece si può fare un plaid con i quadrati della nonna,

lavorivari 013 - Copia

in questo caso sono degli esagoni!

plaid

Un paesaggio marino di lana a crochet con tanti animaletti colorati terrà caldi i più piccoli. Le spiegazioni sono in questo post.

Questo plaid è invece realizzato a punto Tunisi, con i ricami a punto croce,

plaid tunisi (2)

la polenta e la scifa

Il mais fu introdotto in Europa da Cristoforo Colombo. Pochi anni dopo si era diffuso in Spagna, grazie alle sue alte rese rispetto al grano. Da qui si diffuse in Francia e in Italia diventando da metà del settecento il principale se non unico alimento dei contadini. Oggi il suo consumo è meno diffuso, ma quando fa freddo una polenta calda con sugo di salsicce o spuntature di maiale fa sempre piacere!

Ecco allora che ho tirato fuori le scife, i piatti allungati di legno in cui la polenta mantiene il suo sapore e il suo calore. Un termine comune nel centro sud d’Italia, forse di origine greca, che indica i recipienti di legno in cui si condivano polenta o tagliatelle, si metteva a seccare la conserva di pomodoro, si mondavano i cereali o si portavano le pagnotte di pane al forno, ricordo mia nonna che portava sulla testa la lunga scifa con il pane da cuocere, la sistemava sul cercine, un panno arrotolato a ciambella.

Le scife tradizionali erano più grandi, le mie sono in realtà delle scifette per una porzione che sono una curiosità moderna.

Mi ricordano inverni di molti decenni fa quando la domenica andavamo a trovare i miei nonni nella loro casa di paese. Mia nonna cuoceva la polenta nel grande paiolo di rame il cui esterno era annerito dal fuoco. Era appeso con la catena nel camino. Non esisteva la polenta a cottura rapida e lei la rimestava per più di mezz’ora con il lungo mestolo di legno. Io ero molto ammirata per la sua forza e per come riuscisse a non scottarsi con il fuoco.

Intanto il sugo cuoceva sul fornello, un sugo con tanti pezzi di carne di maiale e salsicce. Quando tutto era pronto mio nonno sollevava il pesante paiolo e scodellava la polenta sulla spianatoia (spianatora) di legno. Mia nonna faceva tante piccole buche e vi metteva mestoli di sugo e pezzetti della carne che lo aveva insaporito.

Tutti erano pronti seduti intorno al grande tavolo e si cominciava a mangiare la polenta davanti a sé, cercando di arrivare in fretta alla particella di carne, fra chiacchiere e risate. Ognuno faceva il suo golfo nella polenta, grande o piccolo, proporzionato all’appetito.

vecchi merletti senza arsenico

Ho ancora tanti bordi per asciugamani lavorati dalle mie nonne, alcuni, come questi ornano gli asciugamani che ancora uso.

Ma dai miei armadi escono ancora merletti dimenticati come questo bordo lungo più di 3 metri!

Non so perché lo lavorò, forse pensava a un bordo per una coperta.

Questi piccoli cerchi sono invece lavorati con un cotone sottilissimo, occorrevano occhi molto buoni!

Non so ancora come utilizzarli, so però che è un peccato tenerli in un cassetto!

la sacchetta centenaria

Non si può dire che siamo una famiglia di consumisti, l’usa e getta non fa parte del nostro patrimonio culturale! Quello che però ho trovato fra le cose “messe da parte” è addirittura più che centenario! Una sacchetta o meglio una bustina ricamata per gli indumenti di un neonato che risale al 1919!

La data la posso dedurre dal nome del neonato ricamato, Enzo, un mio zio nato appunto in quell’anno; è di lino, con un tralcio di campanelle ricamate in rilievo. Non so chi la ricamò, forse mia nonna o la mia bisnonna. Quel che so è che di neonato in neonato è arrivata fino alla mia nipotina, quattro generazioni dopo; è un po’ malandata, il lino in alcuni punti è consumato, ma ha un “valore aggiunto” è restata in famiglia per un secolo e ancora può svolgere il suo lavoro, tanto più che l’iniziale del nome è la stessa!

la vecchia tenda

Tende ricamate, tende di lino, tende di garza, tende a filet, tende eleganti e casalinghe, tende candide e tende colorate, tende che si gonfiano di vento e sventolano leggere.

Questa vecchia tenda di tela di sacco, sfrangiata, bucata, appesa con i chiodi, circondata dal muro scrostato e rattoppato della vecchia casa nel vicolo, svolge però il suo ruolo di riparare dagli sguardi indiscreti, mi è sembrata così simbolica e significativa che non ho esitato a fotografarla!

perline

Questa piccola borsa colorata apparteneva ad una zia di mio padre, non so se la fece lei o la comprò, ma è sicuramente un lavoro bellissimo e accurato fatto con migliaia e migliaia di perline minuscole. Era necessaria una pazienza infinita ed una abilità notevole per realizzare questo piccolo oggetto vezzoso.

La moda di cucire perline colorate di vetro su tessuti, pelli e di utilizzarle per monili ed altri oggetti ornamentali cominciò molti secoli fa, a Venezia dove erano le vetrerie che realizzavano questo materiale fino dai primi secoli del secondo millennio.

Venezia commerciò le sue perle di vetro dapprima in Europa e lungo le sponde del Mediterraneo, poi con l’aumento dei traffici marittimi, queste divennero una vera e propria moneta di scambio con le popolazioni di tutto il mondo che ne facevano un grande uso realizzando spesso oggetti di grande bellezza.

Alcuni di questi oggetti si possono acquistare anche oggi dagli artigiani africani, io ne ho alcuni, sono  allegri e piacevoli da guardare.

Oggi la maggior parte delle perline sono fabbricate in oriente ed hanno un costo molto basso per cui non hanno più il ruolo di moneta di scambio. Sono comunque un buon modo per abbellire i nostri lavori (cliccando sulla foto si può accedere al post con le spiegazioni).

 

 

 

biscotti coi ferri roventi

Ferratelle o neole in Abruzzo, necci in Liguria, brigidini a Pistoia, cancelle in Molise, tanti sono i nomi delle cialde ottenute con gli appositi ferri arroventati. Di origine antichissima, gli antichi romani le chiamavano crustulae. Si fanno semplicemente e con pochi ingredienti, sono una merenda sana e appetitosa, perfetta per i bambini che si divertono nel vederle fare. Si possono poi riempire con marmellata, nutella o ricotta, ma sono buone anche così.

La composizione della pastella di base cambia un po’ da regione a regione, in Toscana e Umbria ci si aggiunge vinsanto e aroma di anice, in Liguria e in Garfagnana i necci si fanno con la farina di castagne, senza altra aggiunta se non l’acqua necessaria all’impasto.

I ferri da cialde sono rotondi o rettangolari e un tempo le famiglie più abbienti se li facevano forgiare con incisioni spesso molto complesse che li rendevano vere opere d’arte. Le famiglie nobili vi facevano incidere lo stemma di famiglia.

Museo del vino di Torgiano

Museo del vino di Torgiano

La mia ricetta sperimentata innumerevoli volte quando i miei figli erano bambini mi fu data da una signora teramana che le chiamava neole. La stessa mi diede anche il ferro da cialde. Il mio ovviamente non ha stemmi nobiliari!

Per circa 18 neole:

  • 1 cucchiaio di olio
  • 1 uovo intero
  • 2 cucchiai di zucchero
  • 1 tazzina da caffè di latte
  • la farina necessaria a ottenere una pastella abbastanza morbida

Sbattere le uova con lo zucchero, aggiungere il latte e la farina poco per volta continuando a mescolare in modo da non formare grumi.

Fare un salamino dello spessore di un dito, tagliarlo a pezzi lunghi un dito. Ungere leggermente le due piastre, farle scardare chiuse sul fornello, da una parte e dall’altra, poi mettere il salamino fra le piasre, schiacciarle e rimettere le piastre al fuoco facendole scaldare da entrambe le parti.

Ripetere il procedimento per tutte le altre ungendo leggermente le piastre con l’aiuto di un batuffolo di cotone.

 

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