un minuscolo borgo della Tuscia

Chia, frazione di Soriano al Cimino (Vt) è un piccolo borgo medioevale arroccato come tanti paesi della Tuscia su uno sperone tufaceo, prodotto dalle eruzioni del Cimino e eroso dai corsi d’acqua che hanno creato quel paesaggio tanto tipico del viterbese.

Fu molto cara a Pierpaolo Pasolini che l’aveva conosciuta quando vi girò “Il Vangelo secondo Matteo”, se ne innamorò e fece restaurare un antico castello con torre. Qui passò i suoi ultimi anni.

Il paesino risale all’anno 1100 ed è ormai parzialmente in rovina, alcuni vecchi edifici nel centro storico sono crollati e recintati, così come la parrocchiale.

Altri edifici sono però stati restaurati e ai pochi residenti si aggiungono quelli che hanno costruito villette moderne ai bordi del paese per godere del bel paesaggio di forre e boschi.

Fra le case pericolanti fa piacere trovare un segno di vita, la tendina ricamata e i fiori alla finestra danno un segno di allegria e di cura.

150 anni dalla nascita di Trilussa

Quest’anno ricorre il 150° anno dalla nascita di Carlo Alberto Salustri, uno dei più noti poeti romaneschi, conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa, anagramma del suo cognome. Nacque infatti a Roma, in via del Babuino, il 26 ottobre del 1871.

A Trastevere, accanto al trafficatissimo lungotevere, di fronte a Ponte Sisto, si apre la piccola piazza Trilussa, qui oltre alla fontana dell’Acqua Paola c’è il monumento al poeta, la scultura di bronzo fu qui collocata nel 1954, è opera dello scultore Lorenzo Ferri.

Trilussa è raffiugurato mentre recita una delle sue poesie. La postura del poeta raffigurato mentre si appoggia ad una lapide fece scatenare lo scontento e l’ironia, tanto che il monumento fu soprannominato “lo sderenato” che a Roma significa sfiancato, fiacco.

Amilcare Pettinelli in un sonetto fa parlare il poeta:

…S’io potessi, sto bronzo der malanno

lo tirerebbe su la commissione.

Io schina storta? E annateve a ripone…

Se po’ sape’ che annate riccontanno?

Sta mossa co’ la destra indò viè fora?

Chi l’ha inventata, a chi è zompata in testa?

Pare che butto “tre” giocanno a mòra”

soggiorni famosi a Roma

Passeggiando per il centro di Roma sono tantissimi gli edifici che hanno ospitato personaggi famosi, soprattutto nel Rinascimento quando il mecenatismo dei papi e delle famiglie nobili attirava artisti da tutto il mondo.

Lungo la passeggiata del Gianicolo a Roma si può vedere la facciata di una casa medioevale, detta casa di Michelangelo. È stata collocata davanti al serbatoio dell’acqua dell’ACEA.

La casa era situata in piazza Macel de’ Corvi, una piccola piazza accanto a Piazza Venezia, demolita nel 1902 per allargare piazza Venezia in modo da valorizzare l’Altare della Patria. La facciata della casa fu poi ricostruita nel luogo attuale nel 1941, come è indicato da una lapide.

Raffaello abitò e morì al rione Borgo in un edificio demolito nel 1933 per far posto all’ampia via della Conciliazione, voluta da Mussolini per celebrare i Patti Lateranensi che riconcilavano il Regno d’Italia con la Santa Sede. Raffaello possedeva anche un edificio in Via Giulia che è conosciuto come casa di Raffaello anche se l’artista non vi soggiuornò mai.

Gian Lorenzo Bernini visse e morì a Via della Vite dove possedeva un palazzo

Nella vicina via del Corso al numero 18 si può visitare Museo Casa di Goethe, nella vicina Piazza di Spagna al civico 31 la Casa Museo Giorgio De Chirico.

Sempre a via del Corso soggiornò nel 1819 il poeta inglese Percy Bysshe Shelley che è sepolto nel cimitero acattolico di Roma dopo la tragica morte in mare al largo di Lerici. Ancora a via del Corso una lapide ricorda il soggiorno del musicista Pietro Mascagni.

Altri soggiorni famosi sono quelli di Vincenzo Monti a Via degli Uffizi del Vicario presso Montecitorio. In quello che era l’Albergo Cesari  presso Piazza di Pietra alloggiarono Manara, Stendhal, Mommsen, Mazzini che soggiornò anche a Via Capo le Case. Lo stesso albergo ospitò anche Giuseppe Garibaldi i cui luoghi di soggiorno a Roma furono molteplici,quando fu deputato del Regno d’Italia, fra gli altri al numero 35 di Via delle Coppelle e nel Monastero di Piazza San Silvestro.

All’Albergo del Sole, ancora esistente, in Piazza della Rotonda soggiornò Ludovico Ariosto nel 1513. Hans Christian Andersen visse a Via Sistina 104 dal 1833 al 1834 e  Gabriele D’Annunzio in Via Quattro Fontane 159.

Nacque a Roma  nel 1698 a Via de’ Cappellari il poeta Pietro Trapassi che tradusse in greco il suo cognome in  Metastasio. Nella vicina Piazza della Chiesa Nuova un monumento lo ricorda.

Nacquero a Roma anche i due poeti in romanesco: Giuseppe Gioacchino Belli ricordato con una lapide al rione Sant’Eustachio

e Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, nato al numero 14 di via del Babuino nel 1871.

Monumento a Trilussa a Trastevere

il frutteto di Laerte

“Allora rispose, volgendosi a lui Laerte, esclamò: “Odisseo, mio figlio, tu? tornato qui? se è vero dammi una prova, ma lampante, che mi convinca!”

Gli rispose volgendosi a lui Odisseo, disse: “…….Vuoi che ti ricordi gli alberi sparsi per l’orto, questo ameno luogo? gli alberi che tu mi avevi una volta regalato. Ero ancora piccino e ti venivo dietro per tutto il campo, e ti chiedevo questo e ti chiedevo quello, e traversavamo il campo, e tu me li indicavi, e mi facevi il nome di ognuno. Ricordo, erano tredici i peri, dieci i meli, quaranta i fichi. E poi ancora mi promettesti di darmi cinquanta vitigni, di quelli che danno frutti due volte l’anno; e vi sono, qui, grappoli d’ogni specie, adatti ad ogni clima che Zeus manda dal cielo.”

(Omero, Odissea, canto XXIV, traduzione Emilio Villa.)

 

Fiore di roccia

“Ci siamo riunite con il buio, quando gli animali, i campi e gli anziani costretti a letto non avevano più necessità da soddisfare. Ho pensato che da sempre siamo abituate a essere definite attraverso il bisogno di qualcun altro. Anche adesso, siamo uscite dall’oblio solo perché servono le nostre gambe, le braccia, i dorsi irrobustiti dal lavoro. Nel fienile silenzioso siamo occhi che inseguono altri occhi, in un cerchio di donne d’ogni età. C’è chi ha il figlio attaccato al seno. Qualcuna è poco più di una bambina, se di questi tempi è ancora ammesso esserlo, se in questa terra aspra che non concede mai nulla per nulla sia mai stato possibile esserlo.”

Giugno 1915, prima guerra mondiale, si combatte nelle trincee sulle Alpi. Nell’ultimo paese, ai piedi dei picchi rocciosi delle Alpi Carniche, sono rimaste solo i vecchi, i bambini e le donne. A queste verrà chiesto di farsi carico del trasporto dei rifornimenti fino al fronte, là dove non riescono ad arrivare neanche i muli.

Dal Monte Coglianz al Passo di Monte Croce Carnico, dal Pal Piccolo al Pal Grande, dal Freikofel al Gamspitz. Sedici chilometri di vette, una salita di milleduecento metri affacciata sui burroni. Il libro do Ilaria Tuti è un omaggio a queste donne forti, abituate alla fatica ed alle privazioni, ad accudire ed a soccorrere, che non si tirano indietro davanti all’immane compito che viene loro richiesto, ma che non cedono alla logica spietata della guerra, conservando la loro umanità.

 

Fiore di roccia - Ilaria Tuti - copertina

 

Dieci anni fa, 95 anni dopo i fatti narrati, due giovani studenti curiosi, amanti della storia e delle montagne partono dalle loro città lontane migliaia di chilometri per partecipare a un campo di lavoro sulle trincee del Pal Piccolo. Lui parte da Roma, lei da Madrid. Aereo, treno, autobus e poi a piedi con lo zaino in spalla. L’Europa è la loro patria, l’Erasmus l’ha resa più piccola e vicina, non ci sono confini.

Si sono incontrati lassù, dove altri giovani ventenni si sono massacrati a vicenda per quattro lunghi anni. Sono posti bellissimi e tremendi, aridi e impervi e nelle trincee ancora si trovano testimonianze di quel macello immane. Testimonianze raccolte nel Museo Grande Guerra Timau.

I due studenti ventenni del XXI secolo sono diventati un uomo e una donna, hanno conservato la curiosità e l’amore per le montagne su cui sono tornati e tornano insieme anno dopo anno. La loro vita in comune ha fuso due lembi d’Europa, questa nostra piccola Europa che ha attraversato un secolo di guerre, divisioni, dittature e muri, inimicizie e che adesso è in pace anche se non riesce ancora a superare incomprensioni e pregiudizi.

 

 

 

 

 

la morte di Nerone

Nerone è un personaggio controverso. Si chiamava Lucio Domizio Enobarbo, era nipote dei Caligola e prese il nome di Nerone quando fu adottato dall’imperatore Claudio. Divenne imperatore giovanissimo a soli 17 anni dopo la morte di Claudio.

Fu descritto come un tiranno pazzo e sanguinario dai suoi contemporanei,  di lui parlano gli storici Svetonio nelle “Vite dei Cesari” e Tacito negli “Annales”. Il popolo che aveva beneficiato con le sue riforme e le elargizioni probabilmente lo rimpianse.

La storiografia moderna ha rivalutato il suo comportamento considerandolo non più sanguinario e tirannico degli altri imperatori. La tradizione che gli attribuisce la responsabilità del grande incendio di Roma del 64 d. C. sembra non essere vera, vero è invece che per allontanare da sè i sospetti ne attribuì la colpa ai cristiani che furono arrestati e condannati in massa a supplizi atroci. Dopo l’incendio fece ricostruire Roma con vie più larghe e nuove case di pietra al posto di quelle di legno infiammabili. Si fece anche costruire un’enorme villa, la Domus aurea“.

Regnò tredici anni, negli ultimi anni del regno si attirò l’inimicizia dei patrizi, fino a che il Senato lo dichiarò nemico pubblico. Abbandonato da tutti, anche dall’esercito e dai suoi pretoriani, fuggì da Roma trovando riparo presso la villa di Faonte, un suo liberto, a 4 miglia da Roma, fra la via Nomentana e la via Salaria. Per non cadere nelle mani dei suoi avversari che lo stavano per raggiungere si suicidò con un pugnale, in questo aiutato da un liberto. Era il 9 giugno del 68 d. C. e aveva 32 anni.

Grazie alla descrizione abbastanza precisa di Svetonio i ruderi della villa di Faonte sono stati identificati nella periferia romana in una zona fino a pochi anni fa di campagna, oggi invasa da nuovi edifici.

Ruderi della villa di Faonte

Il Senato ne decretò la damnatio memoriae, la condanna della memoria, provvedimento legislativo secondo il quale si cancellava ogni traccia di una persona. La Domus Aurea fu parzialmente interrata e fu interrato anche il laghetto presente nel grande giardino, laghetto alimentato da due affluenti del Tevere. Al suo posto fu poi costruito l’Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo.

Il corpo fu sepolto nella tomba di famiglia, quella dei Domizi, al Pincio. Nel medioevo intorno alla figura di Nerone fiorirono cupe leggende, si diceva che nel luogo della sua presunta sepoltura demoni e spiriti comparissero nottetempo terrorizzando la popolazione.

Per esorcizzare la figura sinistra dell’imperatore nel 1099 il papa Pasquale II fece costruire in quel luogo una cappella a spese del popolo romano, da qui il nome di Santa Maria del Popolo. La leggenda narra che furono dissotterrate le ossa dell’imperatore e bruciate insieme al grande albero di noce che vi cresceva sopra.

Al posto della cappella nei secoli successivi sorse la chiesa, modificata più volte. Al suo interno due grandi dipinti del Caravaggio: la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro.

S.Maria del Popolo e Porta del Popolo

Hanno lo stesso nome anche la famosa Piazza del Popolo e la porta monumentale da cui la consolare Via Flaminia esce dalle Mura Aureliane.

A Roma la figura di Nerone ha continuato a suscitare impressioni e ad alimentare leggende anche in epoca più recente. Sulla via Cassia esiste una cosiddetta Tomba di Nerone che dà il nome alla località. In realtà è il sepolcro con tanto di iscrizione di Publio Vibio Mariano del II secolo d. C., ma le leggende narrano che il fantasma di Nerone sarebbe stato visto mentre piangeva sul sarcofago. Potenza della suggestione!

Questo sarcofago è legato ad un avvenimento molto posteriore che riguarda un altro imperatore. Durante l’incoronazione di Napoleone Bonaparte a Parigi venne lanciata una mongolfiera che al posto della navicella aveva una corona imperiale con l’aquila di Napoleone. Nella notte fra il 16 e il 17 dicembre 1804 la navicella, giunta su Roma, si abbassò molto e urtò proprio contro questo sepolcro, perdendo la corona imperiale. L’incidente fu interpretato come un cattivo presagio per l’imperatore appena incoronato.

 

 

i 100 anni di Gianni Rodari

Se invece dei capelli sulla testa

ci spuntassero i fiori, sai che festa?

Si potrebbe capire a prima vista

chi ha un cuore buono, chi ha una mente trista.

Il tale ha in capo un bel ciuffo di rose

segno che pensa solo dolci cose.

L’altro è certo un signore d’umor nero

gli crescono le viole del pensiero.

E quello con le ortiche spettinate?

Deve avere le idee disordinate.

(Gianni Rodari, Il libro dei perché, Editori Riuniti)

Quest’anno, così difficile per tutti noi, ricorrono i cento anni dalla nascita di Gianni Rodari e i quarant’anni dalla sua morte. Giornalista, scrittore e poeta caro ai bambini di tre generazioni. Ha accompagnato tutta la mia vita, dal primo libro regalatomi quando sapevo appena leggere alle filastrocche lette, rilette e ancora rilette ai miei figli prima di dormire. La preferita di mio figlio era questa. Libri che conservo e che presto leggerò a mia nipote che dirà anche lei: “Ancola!”.

Favole, poesie e filastrocche piene di fantasia che offrono una divertente critica dei luoghi comuni e una riflessione con gli occhi dei bambini su ideali e valori di sempre.

Questa mi è parsa particolarmente attuale in questa quarantena in cui i più piccoli sono prigionieri fra le mura di casa, con l’unico sfogo di un balcone.

AVVISO

 

Bambino di città
cerca amici perchè non ne ha.
Si prega di guardare
sul quinto balcone:
tiene in mano un aquilone
che volare non sa.

(Filastrocche lunghe e corte – Editori Riuniti)

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l’eroina dei due mondi

Ana Maria de Jesus Ribeira da Silva, conosciuta da tutti gli italiani come Anita Garibaldi, moglie del condottiero e sua compagna fino alla morte nelle lotte per la libertà dei popoli in America Latina e in Italia.

Anita nacque in Brasile nel 1821 e morì 28 anni dopo, il 4 agosto 1849, nelle paludi intorno a Ravenna, mentre con il marito fuggiva braccata dalle truppe austriache dopo la gloriosa e sfortunata difesa della Repubblica Romana. Era malata, sfinita, incinta.

Una stele ricorda il luogo in cui fu sepolta provvisoriamente, fra le le erbe palustri e gli specchi d’acqua. La si può raggiungere a pochi chilometri a nord di Ravenna, sulla strada che porta a Marina di Ravenna.

Ora è sepolta a Roma, al Gianicolo, teatro della disperata ed eroica resistenza dei garibaldini arrivati da tutta Italia per difendere la Repubblica Romana.

Poco distante dal monumento dedicato al più noto marito, in una piazza a lei dedicata, c’è il bel monumento inaugurato nel 1932 dello scultore Mario Rutelli. La statua equestre la ritrae mentre a cavallo fugge con il figlioletto neonato in braccio. L’accampamento in cui si trovava fu infatti assalito dalle truppe imperiali brasiliane durante le lotte per l’indipendenza della Repubblica di Rio Grande do Sul e lei riuscì così a sottrarsi alla cattura.

Sul basamento quattro bassorilievi la ritraggono in altri episodi della sua vita breve e avventurosa, sul lato posteriore è raffigurato l’ultimo, ormai moribonda in braccio a Garibaldi fra le paludi di Ravenna.

Il suo corpo riposa all’interno del basamento, sotto la statua che la rappresenta piena di vita e di coraggio. Quest’anno in agosto ricorreranno i 170 dalla sua morte.

 

il primo anno

Il nostro fiorellino compie un anno, un anno in cui ha arricchito la nostra famiglia di tenerezza, sorrisi, risate. Un anno in cui ha scoperto il mondo con uno sguardo curioso e attento, in cui ha conosciuto tante persone e visto tanti luoghi, in cui ha imparato e insegnato tante cose. Anche noi stiamo riscoprendo il mondo con gli occhi suoi.

Io gli rinnovo il mio augurio di un anno fa:

benvenuto fra noi piccolo fiore, ti sia dolce la vita!

un anno di vita in montagna

Leggo molto, ma in genere non parlo delle mie letture nel blog. Questa volta voglio fare un’eccezione perché sono stata piacevolmente colpita dal libro di due giovani romani, “Un anno di vita in montagna“.

Alessia e Tommaso si sono lasciati alle spalle la città, il lavoro, la casa confortevole, per fare un’esperienza di vita in un piccolo paese di alta montagna, in un angolo sperduto delle nostre Alpi.

La Val Maira, in provincia di Cuneo non è sicuramente una valle conosciuta dai vacanzieri in cerca di piste di sci e divertimenti vari. È piuttosto impervia e isolata in mezzo alle belle montagne che la cicondano. L′abbiamo frequentata piú volte a cominciare dai primi anni novanta, quando con la tenda e due figli piccoli al seguito vi abbiamo trascorso bei giorni di camminate ed escursioni.

Quello però che più mi ha  piacevolmente colpito nell’esperienza dei due giovani sono le tante situazioni in cui anche noi ci siamo trovati tanti anni fa e che continuiamo a sperimentare: l’amore per la natura e per la terra ci ha spinti a restaurare un vecchio casale e a cominciare a coltivare poco terreno intorno.

Noi vissuti sempre in città come i due giovani autori del libro, abbiamo provato a lavorare con le mani, abbiamo seminato e curato l’orto, piantato nuovi alberelli e curato quelli esistenti, vendemmiato e torchiato l’uva,

raccolto le olive e prodotto il nostro buon olio.

E poi ancora abbiamo sperimentato la cucina tradizionale e creativa con quello che offriva la nostra campagna e  recuperato e restaurato vecchi oggetti.

Anche noi abbiamo sperimentato il freddo di una casa senza riscaldamento, anche se meno estremo che in alta montagna e la fatica che ci vuole a tagliare e trasportare la legna con cui scaldarsi. La fatica del lavoro in campagna è però ampiamente ricompensata dal poter osservare gli animali selvatici: l’istrice che cerca le radici succulente, il picchio che scambia le nostre imposte per alberi, il pettirosso curioso che ci viene a trovare, i merli che fanno il nido sul davanzale.

E poi seguire il ritmo delle stagioni, veder spuntare i fiori dei fruttiferi e le prime foglie,

veder maturare i frutti, raccogliere le erbe spontanee, veder tramontare il sole su un orizzonte libero.

Raccogliere bacche selvatiche,

trasformare il trasformabile in marmellate.

Veder spuntare i narcisi in primavera

i papaveri s’estate

e maturare le cotogne in autunno.

I nostri due figli sono cresciuti anche loro con l’amore per la terra e la natura ed ora si è appena affacciata alla vita la nuova generazione e per lei abbiamo piantato nuovi alberelli che ora iniziano a fiorire!

Per tutte queste esperienze che abbiamo fatto in quasi trent’anni di vita in campagna mi piace consigliare il libro e il blog di Alessia e Tommaso. Chi fosse incuriosito da quello che hanno da raccontare può seguirli a questo indirizzo www.alritmodellestagioni.it Nel blog ci sono anche bellissime foto e video naturalistici ed è possibile acquistare il loro libro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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