I terreni poveri in cui la vegetazione è rada, soprattutto quelli in cui c’è un pascolo intenso ospitano questa pianta bella e robusta dai fiori bianchi che può raggiungere il metro e mezzo di altezza; si distingue per le foglie strette ed appuntite e per gli steli slanciati. Appartiene alla famiglia delle Liliacee, genere Asphodelus, ne esistono molte specie diverse, tutte tipiche della regione mediterranea.
Cresce bene in terreni disturbati grazie alla capacità di germogliare di nuovo dalla base ed al fatto di essere rifiutata dagli animali al pascolo che invece tengono sotto controllo le altre piante.
Per gli antichi greci era la pianta del Regno degli Inferi, se ne offrivano corone a Persefone e si piantavano sulle tombe. Oltrepassata la soglia dell’Ade le anime dei defunti attraversavano praterie di asfodeli. Nell’Odissea Ulisse disceso all’Ade incontra Achille che si allontana poi “a passi giganti giù per la prateria coperta d’asfodeli” e “il colossale Orione che inseguiva belve in mezzo a prati coperti di asfodeli“. L’immagine è bella anche se il candore dei fiori che richiama il pallore della morte dà una sensazione di tristezza, come tristi sono le anime che non vivono più.
In Sardegna si utilizzavano gli steli per farne cesti di ogni foggia e dimensione, era un’attività femminile che contribuiva al magro bilancio familiare. Ora l’attività è svolta da poche anziane.
Un tempo se ne mangiavano i tuberi ricchi di fecola, che non dovevano avere un sapore esaltante, ma in tempi magri, in mancanza di meglio qualche caloria si poteva ottenere. Si facevano anche fermentare e se ne ricavava un’acquavite che a Roma si chiamava “porrazzo”, veniva venduta a basso costo da venditori ambulanti. In alternativa con le stesse radici si faceva una colla per calzolai e rilegatori. Insomma, non si buttava via niente!
Al genere Asphodeline appartengono invece gli Asfodeli gialli che hanno caratteristiche simili.